Bevagna, il Medioevo, le Gaite
Enrico VI, figlio e successore del Barbarossa, nominò Rainaldo, nel 1195, suo Siniscalco.
Rainaldo, tre anni dopo, tornava in Umbria portando ai folignati la concessione, che l’imperatore aveva fatto loro a sua richiesta, di potersi eleggere liberamente un podestà, che governasse la città cum mero et mixto imperio. Dati questi pegni di pace e questa garanzia di indipendenza a Foligno, Rainaldo volse il pensiero e il passo verso Bevagna, che già aveva potuto svincolarsi dalla soggezione alla città vicina e, ormai dotata di un regime comunale autonomo, fin dal 1187 eleggeva liberamente i propri consoli. Sull’esempio dei suoi predecessori volle dedicarsi ad opere di cristiana pietà. Fondò prima in Bevagna la chiesa di Santa Maria, che i posteri chiamarono, in omaggio al fondatore, santa Maria dei figli del conte, e venerarono per molti secoli fino a quando il cattivo gusto dei nostri contemporanei non permise che il piccolo oratorio, dal quale aveva preso il nome una delle quattro Gaite della città, fosse tolto per venir trasformato ora in una stalla ora in una officina.
Riguardo ai quartieri di Bevagna, essi erano quattro: li dividevano, in un verso, la via Flaminia e, in senso contrario, le due strade che allacciano la piazza principale con Porta Guelfa e Porta Molini. Essi conservarono lungamente l’antica denominazione di gaite, parola che l’uso aveva corrotto in guayte. Scendendo da Porta San Vincenzo a quella del Salvatore, si trovavano, prima della piazza, a sinistra la Gaita San Giorgio (dal nome dell’antica chiesa che fu, poi, sostituita da quella di San Domenico) e a destra la Gaita San Giovanni, dal nome dell’antica chiesa, cui doveva succedere San Francesco. Oltre la piazza, a sinistra della Flaminia, era la Gaita Santa Maria e a destra quella di San Pietro, dal nome dell’antica chiesa. (Giulio Spetia, Studio su Bevagna)
La Gaita Santa Maria e l’arte della seta. L’arte della seta nel Medioevo umbro.
La Gaita Santa Maria si è sempre distinta nella rappresentazione fedele delle fasi di lavorazione di filati poveri o “cascami pesanti”, ricreando strumenti e utilizzando tecniche produttive d’epoca, nel rispetto della tradizione umbra, dal Medioevo all’età contemporanea. Accanto alla lavorazione della canapa e della lana, dal 1995, la Gaita si è dedicata alla ricostruzione dell’arte della seta riproducendo tutto il ciclo della lavorazione. Dall’allevamento alla tessitura, passando attraverso le fasi della trattura, torcitura e tintura del prezioso filo. Tutti gli storici dell’industria serica del tardo Medioevo attribuiscono l’avvio di quest’arte alla città di Lucca, che si afferma come la maggior produttrice europea di tessuti di seta pregiata. Molteplici le cause di questa fioritura: l’abilità creativa dei suoi artigiani, le loro capacità imprenditoriali, la presenza, nella città, di abili filatori e tessitori ebrei, fuggiti dalla Sicilia al momento della conquista angioina e, da ultimo, la sua ubicazione che la rende meta costante di pellegrini che dall’Europa raggiungono Roma. Quando però nel 1314 la città è conquistata dalla fazione ghibellina, si assiste ad un vero e proprio esodo dei setaioli ebrei, che diffondono le loro conoscenze e le loro tecniche di produzione (mulini per la filatura e la torcitura) in altre città italiane come Bologna, Venezia e Firenze.
Il ciclo di produzione della seta si compone essenzialmente di cinque fasi: gelso-bachicoltura, trattura, torcitura, tintura e tessitura. La seta è il filamento del bozzolo di molte specie di farfalle, la più importante delle quali è la Bombix Mori, il cui bruco o baco da seta si alleva sulle foglie di gelso bianco. Dalla schiusa delle uova fino alla formazione del bozzolo, trascorrono 28-30 giorni, durante i quali il baco da seta deve essere alimentato continuamente con foglie di gelso. Dopo essere stati selezionati e privati della spelaia, i bozzoli destinati alla trattura vengono immersi in acqua molto calda, affinché la sostanza gommosa (sericina), che tiene saldati tra loro i filamenti, si ammorbidisca. Di ogni bozzolo si trova il capofila e si dipana, come se fosse un gomitolo, essendo costituito da un filamento continuo che può raggiungere anche i duemila metri di lunghezza. Il filo che si avvolge sull’aspo, anche se formato da filamenti di più bozzoli, appare come un filo unico, perché la sericina che ricopre la bavella di seta diventa gelatinosa in acqua calda e incolla, una volta asciugati e raffreddati, i vari filamenti, dando vita ad un filo unico. Le matasse di seta greggia tolte dall’aspo vengono quindi sottoposte all’incannatura: il filo passa dalla matassa al rocchetto o bobina per essere così trasferito al torcitoio, al fine di ottenere una maggior resistenza. I filati sono così pronti per essere lavati e tinti. Le matasse di seta vengono dunque collocate in sacchetti a trama larga e fatte bollire in acqua saponata per eliminare la gomma naturale, vengono poi sciacquate in acqua pura e messe ad asciugare. Quelle di color perlaceo vengono successivamente sbiancate con vapori di zolfo e quindi sottoposte ai così detti “ bagni di colore”. Si giunge così all’operazione conclusiva della tessitura, che consiste nell’intrecciare i fili che costituiscono l’ordito con un’altra serie di fili orizzontali, chiamata trama.
IL TORCITOIO CIRCOLARE DA SETA: una invenzione “rivoluzionaria”
Il torcitoio circolare da seta è la prima macchina operativa complessa che l’uomo abbia mai costruito. Si tratta di una macchina apparentemente molto complessa, ma che in realtà sembra tale perché densa e ripetitiva. I suoi elementi operativi son ripetuti parecchie decine di volte, consentendo di torcere in modo regolar 80-150 fili contemporaneamente. Un uomo motore collocato all’interno, la muove mentre un operatore all’esterno provvede alle varie esigenze della torcitura. Esso compare a Lucca, intorno al XIII secolo. Si tratta di una delle macchine più interessanti del medioevo, certamente quella più produttiva. Un torcitoio da cento fusi richiede infatti due operai contro i cento di prima, ed il tempo per torcere un rocchetto è cento volte minore di quello che si impiegherebbe per torcere a mano. Complessivamente, quindi, l’invenzione accorcia di circa 10.00 volte il tempo di torcitura pe una produzione media artigianale. Raramente nella storia della tecnica ci si imbatte in simili risultati. Si può sicuramente affermare che la civiltà industriale nasce con i torcitoi da seta. La prima immagine giuntaci della macchina si trova nel “Trattato dell’arte della seta in Firenze “del 1486, ma copia di un manoscritto del secolo precedente, ora alla Biblioteca Laurenziana di Firenze. Una descrizione dei suoi elementi costitutivi la si trova in Archivi di Stato- Lucca, Archivio notari, n.117, notaio Bartolomeo Buonmese, 1335
Sulla base del “Trattato“ e con le conoscenze storiche acquisite nel settore, la Gaita Santa Maria ha ricostruito il torcitoio circolare da seta a energia umana facendone l’unico esemplare funzionante al mondo.
Esso, durante la manifestazione del Mercato delle Gaite, è certamente fra gli strumenti d’epoca presenti, il più prestigioso per il suo valore storico e culturale e inoltre, nell’ambito di una riproduzione il più possibile fedele di mestieri medievali, è sicuramente la macchina riprodotta nel modo più corretto per quanto riguarda le fonti di energia, immune da “contaminazioni “moderne: utilizza solo la forza delle braccia.
Documenti:
Statuti dell’arte della bambagia e della seta di Perugia, 1430
Statuti dell’arte della seta di Foligno, 1540
Breva Ars Sirice di Gubbio, 1532
Link articolo ufficiale: http://www.italiamedievale.org/portale/bevagna-il-medioevo-le-gaite/